UNA PERSONA “FUORI POSTO”

Di Giovanna Combatti

Quando ci sono problemi con un collaboratore, capita spesso di sentire, nelle aziende, affermazioni del tipo: “è un incapace”, “non sa”, “non riesce a portare risultati”, “sì, fa qualcosa ma non è all’altezza”, “pensa te, se può essere un responsabile vendite…”, “ma se anche gli agenti vogliono parlare con qualcun altro…”, etc.

Quando ci si trova di fronte a simili situazioni, spesso molto frustranti sia per l’azienda che per il soggetto, i casi possono essere tre:

  • il collaboratore è in un momento di difficoltà (sul piano privato e personale o con il suo capo);
  • non ha gli strumenti o il supporto necessario per svolgere il compito ma con qualche intervento è possibile rimotivarlo;
  • è stato “semplicemente” un errore di selezione.

È sempre rischioso e sbagliato correre alle conclusioni. È necessario identificare la vera causa delle mancate prestazioni ed analizzare la situazione in profondità.

È quello che è accaduto con un direttore vendite dopo due anni dall’assunzione. L’azienda, del settore estrattivo, in forte difficoltà con lui, mi ha chiesto di intervistarlo proprio per “censire” la situazione e poter trovare elementi per prendere poi una decisione: tenerlo e rimotivarlo o lasciarlo andare?

Racconto di un’esperienza.

Il direttore vendite in questione, (lo chiameremo Carlo), alla mia domanda sulla sua attività e le sue responsabilità, inizia a raccontarmi in lungo e in largo del suo passato nel settore abbigliamento e di quella azienda precedente presso la quale aveva trascorso ben vent’anni. Mi racconta di quanto fosse ben strutturata quell’organizzazione, quanto era manageriale, quanto investisse in formazione per i suoi dipendenti, mi illustra di un prestigioso corso per manager cui l’azienda lo aveva inviato, là aveva responsabilità di gestione del budget e di dieci collaboratori. “Là sì che si lavorava in gruppo e che c’era spirito di squadra…”.

Raccolgo le sue difficoltà nel contesto attuale: non riesce a legare, non ha trovato un gruppo del quale sentirsi parte, è chiaramente un isolato.….

Mi descrive le sue attività: lavora nell’ufficio commerciale Italia, lavora con agenti, è “formalmente” responsabile commerciale ma, aggiunge: “è qualcosa che di fatto non sono: di questo se ne occupa direttamente il titolare…”

Esploro ancora e rifletto sul fatto che questa persona è in quella azienda da un paio d’anni. Allora gli chiedo come siano cambiate e cresciute le sue responsabilità nell’ultimo anno. “Nessun cambiamento nell’ultimo anno nelle mie responsabilità. Ho capito che non devo fare paragoni con quelle che avevo nel passato….

“Avrà pure imparato qualcosa in questi due anni…”.

Carlo mi risponde: “Sì, ho acquisito qualche competenza specifica sul prodotto, ho imparato a conoscere come si verifica la disponibilità del materiale. Ho conosciuto la clientela, ho imparato come acquisire fiducia dai clienti.”

Incomincio a sentirmi un po’ meglio: “Dai, mi dico, che forse adesso andiamo un po’ meglio”. Non faccio ancora in tempo ad esprimere questo pensiero che lui aggiunge “Prima ero io che guidavo con credibilità i clienti e che definivo le strategie … ora no, nulla di nulla”.

Inizia ad emergere tutta la frustrazione di Carlo: “Voglio crescere ed ottenere credibilità e fiducia dai clienti”.

Provo allora un’altra dimensione: E con i suoi colleghi? Con chi lavora, con chi interagisce più frequentemente? Carlo mi fa tre nomi e aggiunge subito tutti i tipi di problemi che ha con ciascuno di quei tre. Poi mi dice che “non ha grossissimi rapporti con nessuno, che vi sono poche affinità”.

Nemmeno qui….

Provo ancora un’altra strada:

“Quali sono gli obiettivi del Suo ruolo per quest’anno? Cosa ci si aspetta da lei? “aumentare il fatturato e creare una struttura e una rete commerciale”.

Aggiunge un commento “Fino ad ora la funzione commerciale non era considerata importante: ora si deve strutturare.”

Poi parla del mercato: ci sono aree che non “davano” niente nel passato e continuano a non dare. È un periodo di recessione del mercato, c’è un calo della domanda…”

Neanche il mercato dunque….

“Le piace il suo prodotto?” a questa domanda segue qualche esitazione.

“E’ poco conosciuto”, mi dice.

E ricomincia a raccontare del suo passato in un altro settore: sì perché dall’abbigliamento è passato al settore estrattivo!

Fatico a vedere le attinenze….

“Allora potevo “creare” il prodotto, adesso è tutta un’altra cosa”.

Eh sì, il mondo dal quale veniva….

“Là, si lavorava sulla sensazione, emozione, comunicazione, moda…”

E poi c’è il fattore età, aggiunge: “a 42 anni non ci si può ri-inventare”

“Ma scusi, perché è venuto in questa azienda?”

Mi dice che è stato un ripiego. L’azienda della moda era stata chiusa e lui era rimasto senza lavoro. Mentre stava cercando e mentre con crescente ansia non riusciva a trovare nulla, aveva incontrato l’attuale titolare che stava cercando un responsabile commerciale. Gli ha offerto un pacchetto retributivo all’altezza di quello precedente. Era proprio la funzione che Carlo aveva avuto, l’azienda era vicina a casa, lo stipendio interessante. Il titolare aveva urgenza di coprire la posizione e non lasciarla scoperta e quindi….

“Che cosa impedisce al Suo lavoro di essere esattamente come lo vorrebbe?”

La risposta è lapidaria: “Non voglio esprimere aspettative… E’ l’azienda che deve chiedere, sono le sue aspettative quelle che contano”.

Vuole aggiungere qualcos’altro? gli chiedo.

“Ritengo di dare solo il 25% di quello che potrei dare. Quando sono arrivato sono stato “buttato” nella mischia, non ho avuto nessun affiancamento”.

Mi racconta di essere in forte crisi, sta perfino facendosi aiutare personalmente da uno psicologo….

L’unico punto che lo trattiene: la fedeltà alla parola data al titolare al momento dell’assunzione.

Una persona al posto sbagliato.

Al termine dell’intervista rifletto su quanto ho raccolto. Quali sono i punti positivi, che depongono per una continuità del rapporto fra Carlo e l’azienda?

A Carlo non piace questo mercato, questo prodotto, questa azienda, queste persone, questo lavoro. Qui ci sta male.

Questo non è proprio il suo posto: è proprio una persona nel posto sbagliato.