Liberare le Energie
Studi sul mondo delle organizzazioni continuano a rilevare come le aziende riescano a beneficiare al massimo soltanto del 20% del potenziale dei propri collaboratori, procedendo insomma con il freno tirato.
Significa che l’80% delle energie restano, là, inespresse.
Questa è una delle ragioni per le quali le direzioni aziendali e risorse umane decidono spesso di ricorrere a strumenti come il coaching.
Ne abbiamo parlato con la Coach Valeria Salvatico, cui abbiamo chiesto quali sono le sfide più frequenti delle persone, che intraprendono un percorso di coaching e che vogliono affrontare.
Ridisegnare il proprio ruolo coerentemente con il cambiamento delle organizzazioni in cui lavorano è una delle ricorrenti sfide, dice la professionista. Il lavoro nel coaching consiste, anche, nel sottolineare il nesso fra la motivazione dei singoli ed i desiderata dell’organizzazione, tanto in termini di performance quanto di atteggiamento. Come li combiniamo assieme? Sempre che siano combinabili…
Per i manager che affrontano un percorso di coaching, spesso il punto d’arrivo riguarda l’assunzione di una responsabilità maggiore, come ad esempio assumere il ruolo di coordinatore di una funzione o settore.
Il coach aiuta il coachee a porsi le domande giuste, proiettandosi nel nuovo mestiere. Un conto è essere un buon specialista forte della propria professionalità “tecnica” e magari anche dotato di creatività o capacità di innovazione, un altro è il saper immaginare nuovi scenari, prevendendo le aspettative che gli altri, i propri collaboratori, capo e colleghi avranno. Aiutare il coachee a fare lo switch mentale è l’obiettivo del coaching. Dove vorrò mettere le mani? Sul fare o su qualcosa di più alto e più strategico?
Quali sono le preoccupazioni iniziali maggiori per il coachee?
La dott.ssa Salvatico rileva come spesso vi siano degli equivoci di fondo, come ad esempio aspettarsi dei consigli dall’esperto. Vi è poi il timore di essere valutati, non “godendo” così appieno il coaching come momento per sé e per la propria crescita.
Il Coaching non è terapia, non è assessment, non è consulenza.
In generale si nota una scarsa abitudine a fermarsi e a guardarsi dentro, anche talvolta per la paura di aprire “il vaso di Pandora”.
Spesso il coaching è chiamato a lavorare sulle motivazioni delle persone. Come si riesce a liberare le loro energie?
La chiave è rendere le persone consapevoli delle loro risorse e svincolare la persona dal proprio momento storico. Il successo si tende a vederlo vincolato allo scenario vecchio. E invece nel nuovo? Si tratta di vedere come riutilizzare quelle risorse.
Quali sono i passaggi critici nel coaching?
È critico quando si parte verso un obiettivo che non è stato appieno sposato dalla persona. Quando si definisce come punto d’arrivo un obiettivo “politically correct” ma che non è “sentito”. Sono le richieste che mirano a “cambiare la persona” quelle che ne rappresentano la maggiore zavorra.
Come coach, come si riesce a guadagnare la fiducia e stabilire una relazione che possa contribuire al risultato?
Qui la deontologia professionale, dice la dott.ssa Salvatico, è determinante: dichiarare fin dall’inizio che se il coachee non si trova a suo agio con quel coach, lo si può cambiare. Poi va ribadita e garantita, in ogni modo, la riservatezza. E aggiunge: “qui non si può equivocare”.
Cos’altro favorisce la crescita della fiducia fra coach e coachee? Esserci come persona, tenere il ruolo di coach, senza nascondersi, con autenticità e partecipazione empatica. È bello nel coaching saper ridere e talvolta anche piangere assieme.
Un altro fattore, evidenzia, è cercare un buon equilibrio fra lasciare spazio e tenere la guida del dialogo, adeguando l’approccio secondo ad esempio l’esigenza di una persona di essere maggiormente incalzato rispetto ad un altro che invece ha l’esigenza di “buttare fuori tanto”.
Chiedersi sempre cosa serve all’altro e non cosa serve al coach è il mantra della dott.ssa Salvatico che aggiunge come la disciplina nel fare domande, non di “curiosità” ma finalizzate a far ragionare la persona, faccia la differenza. Soprattutto credere nelle persone, non facendosi condizionare da commenti o valutazioni di altri. Essere interessato solo a chi si ha davanti.
Cos’altro ha un impatto sugli esiti di un coaching?
Curare quello che avviene fra un incontro e l’altro con esercizi e sperimentazioni sull’esito delle quali si lavorerà poi nella sessione successiva. Insomma, obbligarsi a mettere a terra e provare strategie diverse.
“Sono soddisfatta quando i coachee mi stupiscono per il risultato che hanno ottenuto con qualche azione concreta e quando tornando avendo compiuto un passo avanti, in autonomia”.
Per il coachee tutto ciò si traduce nel permettersi uno spazio in cui ragionare in modo strutturato.
E conclude: “Come coach, sono felice quando al coachee brillano gli occhi perché in quel momento so che ha avuto una piccola-grande illuminazione che gli permetterà di fare una svolta fondamentale nel suo percorso di crescita”.
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