Stiamo ascoltando i più giovani collaboratori?
Quando le aziende non sono disponibili ad assumere o promuovere persone esperte over 50, il fenomeno viene chiamato ageism. Ma come lo chiamiamo quando non si vogliono prendere in considerazione giovani brillanti professionisti?
Un imprenditore mi ha recentemente raccontato di essersi trovato con alcuni manager ad un cocktail party al termine di una conferenza.
“In piedi con noi c’era una giovane donna che sembrava avesse circa la metà dei miei anni, vestita accuratamente con un filo di perle al collo.”
Francesco, l’imprenditore, era impegnato nella conversazione con i suoi conoscenti manager e non si era accorto di quella giovane, che era là con loro. Poi uno dei suoi conoscenti la presentò come una brillante imprenditrice, in un settore dove lei era leader nel suo campo.
“Mi sono un po’ vergognato della mia mancanza di attenzione e nel non averla riconosciuta e salutata”, ha commentato Francesco, che ha aggiunto poi una considerazione rispetto al suo comportamento.
“Troppo spesso, le persone come me, oltre i 45 o 50 anni sono convinte di sapere tanto e di essere esperti e tendono a trascurare o ignorare le persone più giovani.”
È davvero un grave errore.
Consideriamo ciò che è accaduto pochi anni fa, quando Mary Doerr, la figlia adolescente di John Doerr amministratore della Kleiner Perkins, un importante fondo americano di investimenti, affrontò suo padre dopo aver visto il film di Al Gore “Una scomoda verità.”
Lei, con una certa foga, ha chiesto a suo padre cosa stava facendo per fermare il riscaldamento globale.
Doerr ha preso a cuore il risentimento della figlia e ha deciso di fare qualcosa al riguardo. Kleiner Perkins ora è nota per i forti investimenti in iniziative verdi, in collaborazione con Al Gore. E Doerr è anche stato un forte supporter della legge in California, che mira a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 25% entro il 2020.
Siamo sicuri che funzioni non dare ascolto o ignorare intelligenti giovani professionisti?
In una recente conferenza alla Harvard Kennedy School negli Stati Uniti alcuni esperti professori parlavano delle enormi sfide da affrontare nel prossimo decennio.
Era stata riservata una parte della conferenza a trentenni, giovani leader di nuova generazione.
Nella relazione della conferenza erano state segnate le idee veramente brillanti che ne erano emerse per spingere lo sviluppo internazionale, ad esempio la necessità di ascoltare le persone in uniforme oppure la richiesta di uno studente di medicina di attingere di più all’impegno e all’energia dei giovani. Oppure un altro insegnante di New Orleans che aveva fatto appello per migliori risorse educative per il sistema scolastico. “Ascoltateci” era quello che quei giovani chiedevano.
Anche Francesco, quell’imprenditore, aveva poi voluto aggiungere:
“Tutte le volte che sappiamo ascoltare i giovani e le loro idee creative, ne traiamo forte ispirazione, forza ed energia. Non capisco perché non lo facciamo più spesso”.
E noi?
Stiamo tagliando fuori i giovani o stiamo andando là fuori a cercarli per ascoltarli?
Se già lo stiamo facendo, che cosa stiamo imparando da loro e come li stiamo supportando e coinvolgendo?
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